a cura di Enrico de Sanctis
Se pensiamo al bambino molto piccolo, possiamo notare che gli è sufficiente piangere per ottenere ciò di cui ha bisogno. In una primissima fase di vita del bambino, è giusto che chi si occupa di lui soddisfi i suoi bisogni, poiché lui non lo può fare per conto suo.
Un punto che bisogna tenere in considerazione, però, è che il bambino crede che basti esprimere una sua richiesta, al punto che riesce a soddisfare i suoi bisogni. Se chi si prende cura di lui è sufficientemente capace, saprà che il bambino ha fame oppure ha freddo oppure ha delle coliche e così via. Saprà come fare per soddisfarlo nei modi più giusti. Tuttavia, il bambino penserà magicamente che è il suo pianto, ad esempio, a consentirgli di mangiare. Penserà cioè di potere fare tutto, di essere cioè onnipotente.
Nel corso del suo sviluppo, chi si prende cura del bambino sa che a poco a poco dovrà frustrare le sue richieste, in modo tale che il bambino, crescendo, si adoperi da sé per soddisfare i suoi bisogni e trovare i propri modi per far fronte alla vita.
Questa frustrazione è depressiva in modo corretto, potremmo dire che è evolutivamente depressiva. E questa depressione, che potremmo definire temporanea, deve assolutamente esserci. Attraverso questa depressione temporanea, attraverso la scoperta depressiva che i propri bisogni non possono essere sempre gratificati, il bambino ormai non più piccolo, capirà di non essere onnipotente e comincerà a trovare dei modi per occuparsi di sé. Questo tipo di depressione temporanea è la via per l'autonomia.
Chi si prende cura del bambino, tuttavia, deve aiutarlo in questo sviluppo molto delicato e difficile, lo deve accompagnare, dosando sufficientemente bene presenza e assenza, gratificazione e frustrazione, rassicurando il bambino e lasciandolo libero di fare laddove possibile. Qualora questo non avvenga, si potrebbero verificare diversi scenari. In questa sede scelgo di menzionarne due.
1. Il bambino, sgomento per il dolore di non “essere tutto” per i suoi genitori o per le persone che si occupano di lui, che non lo aiutano in questo passaggio fondamentale, non riesce a reagire. Può sentirsi completamente impotente, abbandonato a se stesso, incapace di soddisfare i suoi bisogni più legittimi. Entra in uno stato depressivo non più evolutivo, ma prolungato.
2. Il bambino potrebbe restare nell'idea di essere onnipotente, negando il dolore di non “essere tutto” per i suoi genitori o per le persone che si occupano di lui, che non lo aiutano in questo passaggio fondamentale. Solitamente lo vediamo negli adulti, in quelle situazioni in cui una persona deve primeggiare e sentirsi grandiosa, senza entrare in relazione con gli altri se non per avere conferma di sé. Si tratta di situazioni in cui una persona può diventare anche aggressiva per poter tenere la sua maschera e raggiungere i suoi scopi. Senz'altro sono persone bisognose di potere, di controllo, di riconoscimenti affettivi. Esternamente affermate, internamente sole.
Il bambino originariamente onnipotente mantiene questa idea nel suo sviluppo e non avviene il passaggio trasformativo della depressione temporanea, in cui il bambino diviene autonomo.
Spesso sentiamo parlare di depressione come di uno stato d'animo di tristezza, di disinteresse per la vita, di impotenza e rassegnazione. Questo malessere può condizionare la vita di ognuno di noi, che possiamo vivere un senso di scoraggiamento che compromette la nostra vita. Possiamo sentire di non essere sufficientemente amati, possiamo fare fatica ad affrontare situazioni lavorative, magari non riusciamo a prendere decisioni e a esprimere noi stessi.
Possiamo sentirci distratti, stanchi, spaventati, al punto che ci ritiriamo per avere un po' di pace. Potremmo avere problemi nel sonno, essere emotivamente inquieti e sentirci soli. Questo stato d'animo, quando è intenso e prolungato, può sfociare in una rinuncia a vivere.
Possiamo sentirci distratti, stanchi, spaventati, al punto che ci ritiriamo per avere un po' di pace. Potremmo avere problemi nel sonno, essere emotivamente inquieti e sentirci soli. Questo stato d'animo, quando è intenso e prolungato, può sfociare in una rinuncia a vivere.
In psichiatria è nota la distinzione tra Depressione unipolare e bipolare. La prima è caratterizzata da un umore orientato in termini unicamente depressivi, la seconda dall'alternanza tra umore depresso e mania. La mania è quella manifestazione euforica, che può essere di diverso grado, relativa sia allo stato d'animo sia al comportamento di una persona.
Gli studi psicoanalitici, dalla fine dell'Ottocento fino ai nostri giorni, offrono a mio avviso una lettura importante, che argomenta in modo più complesso la definizione di depressione della psichiatria.
Esiste un filone psicoanalitico tedesco e inglese, esteso anche in Italia a partire dalla fine degli anni Sessanta, che sostiene che entrare in uno stato depressivo di un certo tipo sia un passaggio evolutivo importante.
Questo passaggio evolutivo implica l'annunciarsi dell'autonomia: il bambino intuisce che non è onnipotente e che l'amore dei suoi genitori non è esclusivo per lui; accanto a questo dolore riconosce che può contare su di sé e che ha un margine di libertà che prima gli era precluso. Proviamo ora a specificare meglio e più ampiamente questo discorso.
Se pensiamo al bambino molto piccolo, possiamo notare che gli è sufficiente piangere per ottenere ciò di cui ha bisogno. In una primissima fase di vita del bambino, è giusto che chi si occupa di lui soddisfi i suoi bisogni, poiché lui non lo può fare per conto suo.
Un punto che bisogna tenere in considerazione, però, è che il bambino crede che basti esprimere una sua richiesta, al punto che riesce a soddisfare i suoi bisogni. Se chi si prende cura di lui è sufficientemente capace, saprà che il bambino ha fame oppure ha freddo oppure ha delle coliche e così via. Saprà come fare per soddisfarlo nei modi più giusti. Tuttavia, il bambino penserà magicamente che è il suo pianto, ad esempio, a consentirgli di mangiare. Penserà cioè di potere fare tutto, di essere cioè onnipotente.
Nel corso del suo sviluppo, chi si prende cura del bambino sa che a poco a poco dovrà frustrare le sue richieste, in modo tale che il bambino, crescendo, si adoperi da sé per soddisfare i suoi bisogni e trovare i propri modi per far fronte alla vita.
Questa frustrazione è depressiva in modo corretto, potremmo dire che è evolutivamente depressiva. E questa depressione, che potremmo definire temporanea, deve assolutamente esserci. Attraverso questa depressione temporanea, attraverso la scoperta depressiva che i propri bisogni non possono essere sempre gratificati, il bambino ormai non più piccolo, capirà di non essere onnipotente e comincerà a trovare dei modi per occuparsi di sé. Questo tipo di depressione temporanea è la via per l'autonomia.
Chi si prende cura del bambino, tuttavia, deve aiutarlo in questo sviluppo molto delicato e difficile, lo deve accompagnare, dosando sufficientemente bene presenza e assenza, gratificazione e frustrazione, rassicurando il bambino e lasciandolo libero di fare laddove possibile. Qualora questo non avvenga, si potrebbero verificare diversi scenari. In questa sede scelgo di menzionarne due.
1. Il bambino, sgomento per il dolore di non “essere tutto” per i suoi genitori o per le persone che si occupano di lui, che non lo aiutano in questo passaggio fondamentale, non riesce a reagire. Può sentirsi completamente impotente, abbandonato a se stesso, incapace di soddisfare i suoi bisogni più legittimi. Entra in uno stato depressivo non più evolutivo, ma prolungato.
Solitamente lo vediamo negli adulti, in quelle situazioni in cui il mondo non è abitabile e le persone sono sopraffatte da un senso di rassegnata impotenza e paura. Le persone non sentono mai di essere protagoniste della loro vita e tendono a lasciare sempre il posto agli altri, non riuscendo a vedere mai il proprio valore e pensando di non avere una forza in sé per costruire un senso di appartenenza.
2. Il bambino potrebbe restare nell'idea di essere onnipotente, negando il dolore di non “essere tutto” per i suoi genitori o per le persone che si occupano di lui, che non lo aiutano in questo passaggio fondamentale. Solitamente lo vediamo negli adulti, in quelle situazioni in cui una persona deve primeggiare e sentirsi grandiosa, senza entrare in relazione con gli altri se non per avere conferma di sé. Si tratta di situazioni in cui una persona può diventare anche aggressiva per poter tenere la sua maschera e raggiungere i suoi scopi. Senz'altro sono persone bisognose di potere, di controllo, di riconoscimenti affettivi. Esternamente affermate, internamente sole.
Il bambino originariamente onnipotente mantiene questa idea nel suo sviluppo e non avviene il passaggio trasformativo della depressione temporanea, in cui il bambino diviene autonomo.
Ho la convinzione che da noi dipenda la possibilità di dare valore ai nostri bisogni e alle nostre emozioni. Per fare questo dobbiamo sentire di essere i protagonisti della nostra vita, dobbiamo sentire di poter esplorare il mondo con un certo grado di libertà, sentendoci autonomi. Perché questo avvenga, è necessario passare attraverso una depressione temporanea.
Ci tengo a ricordare che la depressione non è solo tipica dello sviluppo del bambino. Questo stato d'animo si presenta a tutte le età, ogni volta che si vive una perdita, un rifiuto, una scoperta dolorosa.
Mi piace mutuare un termine che appartiene a una psicoanalisi fenomenologica - che vede il suo sviluppo a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, di cui in Italia tra i massimi esponenti fu Diego Napolitani - e coniare una definizione per me suggestiva della depressione temporanea, che corrisponde a una depressione creativa.
La creatività, infatti, implica il riconoscimento di una mancanza o di una perdita, a partire dalle quali ognuno di noi si dispone a esplorare il mondo, si muove verso le cose e tra le cose intorno a sé, con curiosità e speranza.
La creatività per me rappresenta una delle condizioni centrali di una psicoterapia psicoanalitica, attraverso cui si avvia un processo trasformativo di sé, affinché la persona possa emergere dal suo stato sopravvivenziale, finalmente riuscendo a esistere come soggetto che, facendo i conti con la realtà in cui vive, può scegliere con un margine di libertà il modo in cui ritiene più giusto vivere.
Mi piace mutuare un termine che appartiene a una psicoanalisi fenomenologica - che vede il suo sviluppo a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, di cui in Italia tra i massimi esponenti fu Diego Napolitani - e coniare una definizione per me suggestiva della depressione temporanea, che corrisponde a una depressione creativa.
La creatività, infatti, implica il riconoscimento di una mancanza o di una perdita, a partire dalle quali ognuno di noi si dispone a esplorare il mondo, si muove verso le cose e tra le cose intorno a sé, con curiosità e speranza.
La creatività per me rappresenta una delle condizioni centrali di una psicoterapia psicoanalitica, attraverso cui si avvia un processo trasformativo di sé, affinché la persona possa emergere dal suo stato sopravvivenziale, finalmente riuscendo a esistere come soggetto che, facendo i conti con la realtà in cui vive, può scegliere con un margine di libertà il modo in cui ritiene più giusto vivere.
Dott. Enrico de Sanctis
psicologo-psicoterapeuta
Via Amico da Venafro 14, 00176 Roma
Tel. 06 94363046
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