sabato

Attacco di panico

a cura di Enrico de Sanctis

Gli attacchi di panico sono considerati brevi episodi di forte stress emotivo e di intensa angoscia, che si manifestano attraverso sintomi fisiologici (es. senso di soffocamento, vertigini, sudorazione eccessiva, tachicardia) e sensazioni psicologiche di pericolo e morte. In ambito psicopatologico il nome tecnico è Disturbo di Panico, un tempo identificato come Disturbo da Attacchi di Panico o DAP.

Generalmente l’atteggiamento più spontaneo di una persona, che vive questa manifestazione del corpo così allarmante, è quello di trovare dei rimedi pratici il più velocemente possibile (metodi per rilassarsi, farmaci ecc.), che possano attenuare o interrompere l’attacco di panico. Questo senz’altro è comprensibile, desiderare cioè che questa forma di malessere sia interrotta o evitata. La cosa più importante, però, sarebbe affrontarla e superarla, per quanto questo implichi impegno e tempo.
Questi rimedi, in effetti, per quanto utili al momento, non consentono alla persona la sicurezza che l’attacco di panico non verrà né forniscono un modo, che è invece indispensabile dal mio punto di vista, per poter gestire con le proprie forze situazioni di difficoltà che possono generare un attacco di panico. Un modo per sentirsi padroni di sé e del proprio corpo.

A questo proposito mi piace comunicarvi alcune idee, che sono degli spunti interessanti a mio modo di vedere, proprio per poter superare l’attacco di panico. Il modo è quello di comprendere il suo significato e gestire una complessità di vissuti che lo generano. Anche se non è semplice né immediato come un rimedio all’occorrenza, avremo però nel tempo una risorsa fondamentale, che non dipende da un fattore esterno, ma da noi stessi.
L’idea principale, su cui credo importante soffermarci, è la correlazione tra l'attacco di panico e i vissuti legati alla separazione, alla perdita, al senso di mancanza.

In termini fisiologici, ci è utile fare un riferimento al primo e inevitabile attacco di panico che avviene durante la nascita, che è dovuto all'atto di separazione funzionale all'adattamento alla vita extrauterina. Senza entrare in dettagli troppo tecnici, il neonato, che non ha mai respirato prima di quel momento, si trova ora senza risorse e senza la modalità di vita precedente, in cui non doveva fare nulla per sopravvivere. Il neonato così entra in uno stato talmente traumatico (es. tachicardia, spasmi toracici, reale sensazione di morte), a partire dal quale sarà possibile ricevere l'impulso per respirare, cosa che noi percepiamo tramite il suo grido disperato - e forse in parte anche vittorioso e liberatorio! - spesso confuso con il pianto. L'atto della nascita, quindi, è la prima esperienza fisiologica di panico, che nessuno di noi può evitare: segna l'ingresso alla vita extrauterina, a partire dal quale l'essere umano inizia il suo lungo cammino verso l'autonomia.

In termini psicologici, si può vivere questo stato fortemente ansioso in relazione a un vissuto abbandonico o a eventi particolarmente stressanti, evocativi di quel vissuto. Questo tema implica l'apertura a molteplici e complessi punti di vista legati alle teorie della mente, che in questo momento scelgo di non approfondire. Ci tengo soltanto a sottolineare la relazione tra l'ansia di separazione, il rifiuto da parte dell'altro e la sfiducia che la persona ha di sé. 

Ognuno di noi, infatti, può separarsi davvero e sentirsi autonomo soltanto se ha avuto una buona relazione alle spalle, che ha favorito lo sviluppo di una positiva immagine di sé e delle risorse necessarie per muoversi nel mondo. Il bambino, così divenuto adulto, sa che la relazione con gli altri può essere buona e ricca di potenzialità, e si avventura nel mondo con un senso di fiducia e creatività, capace di affrontare le difficoltà e i limiti.
Il termine ansia di separazione vuole indicare quelle situazioni in cui la persona sente, invece, di non riuscire a farcela da solo, come se vivesse un senso di smarrimento e di angoscia per l'assenza dell'altro. La persona non sa cosa è meglio per sé, non sente di avere uno spazio nel mondo che è spesso poco ospitale ed estraneo. La persona sembra non riuscire a liberarsi di questi vissuti e può restare con la speranza illusoria che un giorno le cose cambieranno e quel mondo tanto desiderato potrà diventare una realtà d'amore. In alcuni casi si rileva come la persona si sente colpevole di essere inadeguata e coltiva l'idea che, solo se cambierà secondo il desiderio degli altri, essi non saranno più ostili.

Mi piace concludere con un riferimento a un pensiero psicoanalitico classico, rivisitato secondo i più recenti studi psicoanalitici e neuroscientifici, secondo cui si può ipotizzare, come già accennavamo, che l'attacco di panico potrebbe essere non soltanto un cattivo segno. 

Se pensiamo al neonato, infatti, possiamo accorgerci con evidenza che è solo grazie all'attacco di panico che il piccolo umano riuscirà a sopravvivere. Perciò, se da una parte l'attacco di panico mostra tutto il dolore e la paura che una persona vive, dall'altra potrebbe essere il tentativo di emergere da una condizione di malessere e, potremmo dire, di nascere esattamente come fa il neonato, anche se nel caso dell'adulto si tratterebbe di una  rinascita. In assenza del vissuto di panico, così come il neonato morirebbe, allo stesso modo potremmo dire che l'adulto resterebbe nel suo mondo di privazioni e continuerebbe a lasciarsi vivere in una condizione di morte esistenziale. L'attacco di panico, perciò, porta con sé un senso di disperazione, impotenza e paura, ma anche un tentativo di trovare la via autentica di espressione di sé.

Dott. Enrico de Sanctis
psicologo-psicoterapeuta
Via Amico da Venafro 14, 00176 Roma
Tel. 06 94363046

Copyright © psicologo-milano.blogspot.com di Enrico de Sanctis

2 commenti:

  1. Anonimo15:36

    Inaspettata e disarmante. ecco come è stato per me la prima volta in cui ho capito di essere ansioso. Per farmela passare scomodavo un noto filosofo che gli studenti ricordano anche per il suo COGITO ERGO SUM: sono ansioso DUNQUE SONO (vivo, felice, triste, ecc). E non c'è cosa migliore di questa. Poi mi passa.

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  2. Anonimo08:28

    Mi piace l'idea che la la serenità che provo quando passano questi brutti periodi di ansia possa essere la stessa di un neonato, di una creatura nuova con una vita di possibilità di fronte a se. Fino alla mia rinascita definitiva, che confido avverrà.

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